Quando si parla di lavoro a tempo parziale, si pensa subito a una scelta personale: orari più brevi per conciliare meglio gli impegni di vita e professionali. Ma non sempre è così. Esiste infatti il cosiddetto part time involontario, una condizione che riguarda sempre più lavoratori e lavoratrici in Italia e in Europa.
Il part time involontario si verifica quando una persona accetta un contratto a orario ridotto non per preferenza personale, ma perché non trova alternative a tempo pieno. In altre parole, il lavoratore vorrebbe un impiego con più ore e quindi uno stipendio più alto, ma le uniche posizioni disponibili sul mercato sono a tempo parziale.
Questo fenomeno è particolarmente diffuso in alcuni settori, come il commercio, la ristorazione, la grande distribuzione o i servizi alla persona. In questi ambiti le aziende preferiscono avere personale per fasce orarie precise, riducendo i costi e adattando l’organizzazione ai picchi di attività. Di conseguenza, molti contratti nascono già part time, senza la possibilità di trasformarsi in full time.
Il part time involontario può avere ripercussioni economiche e sociali importanti. Innanzitutto, uno stipendio ridotto rende più difficile affrontare le spese quotidiane e progettare a lungo termine. In secondo luogo, lavorare meno ore può influenzare la carriera, perché limita la crescita professionale e la possibilità di accumulare contributi pensionistici. In molti casi, inoltre, la gestione familiare diventa più complessa: orari spezzati o variabili rendono difficile organizzare la giornata.
Secondo diversi studi, il part time involontario colpisce soprattutto le donne e i giovani, due categorie che spesso hanno meno possibilità di scelta. L'occupazione femminile e quella giovanile risentono particolarmente di un diritto che spesso viene negato, come quello di avere un contratto full time. Questo aspetto lo rende anche un tema di equità di genere e di inclusione, perché il rischio è di creare un divario lavorativo ancora più ampio.