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John Keats: 5 poesie da rileggere a 200 anni dalla morte

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Le poesie di John Keats da leggere assolutamente

John Keats è un esponente del romanticismo inglese. Le sue poesie evocano l’amore e la bellezza: possiamo rileggerle e condividerle a 200 anni dalla sua morte.

Il poeta nacque a Londra nel 1795 e morì a Roma nel 1821. Tra le sue opere, ricordiamo il poema Endimione, le odi, il poema Iperione.

 

John Keats: 6 poesie da rileggere a 200 anni dalla morte
Ecco la selezione delle poesie del poeta inglese:


Io grido a te pietà, pietà, amore –
sí, amore! Amore misericordioso,
non supplizio di Tantalo, ma univoco
pensiero, ed immutabile e innocente,
a viso aperto e chiaro e senza macchia!
Lascia ch'io t'abbia tutta, tutta mia!
Quella forma leggiadra, quella dolce
droga d'amore minima, il tuo bacio -
mani ed occhi divini, il caldo e bianco
lucente seno dalle mille gioie;
te stessa, la tua anima, ti supplico
per pietà, dammi tutto, non escluso
un atomo di un atomo, o morrò,
o se forse vivrò, tuo miserando
servo, sarà mia vita senza scopo
nella foschia della sventura inutile -
perduto dal palato della mente
il gusto e resa l'ambizione cieca.


Fulgida stella, come tu lo sei -
fermo foss'io, non in solingo
splendore alto sospeso nella notte
con rimosse le palpebre in eterno
a sorvegliare come paziente
e insonne Romito di natura
le mobili acque in loro puro ufficio
sacerdotale di lavacro intorno
ai lidi umani della terra,
oppure guardar la molle maschera di neve
quando appena coprì monti e pianure -
No, - eppure sempre fermo, sempre senza
mutamento sul vago seno in fiore
dell'amor mio, come guanciale,
sempre sentirne il su e giù soave d'onda,
sempre desto in un dolce eccitamento
a udire sempre sempre il suo respiro attenuato,
e così viver sempre - o se no, venir meno nella morte.

 

Quando io temo che potrei cessare
d'essere prima che la penna mia
abbia colto le spighe pullulanti
nel mio cervello, prima che alte pile
di libri in segni chiudano le messi
pienamente mature, come ricchi
granai, quando contemplo sopra il volto
stellato della notte ampi simboli
nebulosi di favola sublime,
e penso che potrei non aver vita
bastante per tracciare le loro ombre
con la magica mano della sorte;
e quando sento, bella creatura
di un'ora, ch'io mai più potrò mirarti,
né più mi sarà dato assaporare
l'incantata potenza dell'amore
che s'abbandona: allora sopra il lido
del vasto mondo sto solingo e penso
fin quando amore e fama al nulla affonda.


Da "Ode su un'urne greca"
I
Tu, della quiete ancora inviolata sposa,
alunna del silenzio e del tempo tardivo,
Narratrice silvestre che un racconto
fiorito puoi così più che la nostra
rima dolcemente dire,
quale leggenda adorna d'aeree fronde si posa
intorno alla tua forma?
Di deità, di mortali o pur d'entrambi,
in Tempe o nelle valli
d'Arcadia? Quali uomini
sono questi o quali dèi,
quali ritrose vergini,
qual folle inseguimento, qual paura,
quali zampogne e timpani,
quale selvaggia estasi?

II
Dolci le udite melodie: più dolci
le non udite. Dunque, voi seguite,
tenere cornamuse, il vostro canto,
non al facile senso, ma, più cari,
silenziosi concenti date all'intimo cuore.
Giovine bello, alla fresca ombra mai
può il tuo canto laguire, né a quei rami
venir meno la fronda.
Audace amante e vittorioso, mai
mai tu potrai baciare,
pur prossimo alla meta, e tuttavia
non darti affanno: ella non può sfiorire
e, pur mai pago, quella
per sempre tu amerai, bella per sempre.


Ode all’Autunno
Stagione di nebbie e morbida abbondanza,
Tu, intima amica del sole al suo culmine,
Che con lui cospiri per far grevi e benedette d'uva
Le viti appese alle gronde di paglia dei tetti,
Tu che fai piegare sotto le mele gli alberi muscosi del casolare,
E colmi di maturità fino al torsolo ogni frutto;
Tu che gonfi la zucca e arrotondi con un dolce seme
I gusci di nòcciola e ancora fai sbocciare
Fiori tardivi per le api, illudendole
Che i giorni del caldo non finiranno mai
Perché l'estate ha colmato le loro celle viscose:
Chi non ti ha mai vista, immersa nella tua ricchezza?
Può trovarti, a volte, chi ti cerca,
Seduta senza pensieri sull'aia
Coi capelli sollevati dal vaglio del vento,
O sprofondata nel sonno in un solco solo in parte mietuto,
Intontita dalle esalazioni dei papaveri, mentre il tuo falcetto
Risparmia il fascio vicino coi suoi fiori intrecciati.
A volte, come una spigolatrice, tieni ferma
La testa sotto un pesante fardello attraversando un torrente,
O, vicina a un torchio da sidro, con uno sguardo paziente,
Sorvegli per ore lo stillicidio delle ultime gocce.
Dove sono i canti della primavera? Dove sono?
Non pensarci, tu, che una tua musica ce l'hai -
Nubi striate fioriscono il giorno che dolcemente muore,
E toccano con rosea tinta le pianure di stoppia:
Allora i moscerini in coro lamentoso, in alto sollevati
Dal vento lieve, o giù lasciati cadere,
Piangono tra i salici del fiume,
E agnelli già adulti belano forte dal baluardo dei colli,
Le cavallette cantano, e con dolci acuti
Il pettirosso zufola dal chiuso del suo giardino:
Si raccolgono le rondini, trillando nei cieli.

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