DONNE E LAVORO

Marianna Zampieri: "Fotografa? Meglio dire Catographer."

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Una timida trentenne riceve in regalo una Reflex con cui comincia a fotografare Arthur, il suo adorato micio. Poi comincia a dare la caccia ad altri gatti, per raccontare le loro storie e quelle dei loro padroni umani. Nascono dei progetti, delle mostre, un libro. Marianna Zampieri racconta cosa l’ha fatta diventare una “catographer”.

Diciamolo: fotografare gatti e farne un’arte non è da tutti, vista anche la natura mutevole e imprevedibile dei soggetti. Come hai iniziato?

Non sono una fotografa professionista che si è dedicata ai gatti. Sono un’impiegata commerciale e non ho avuto nessun tipo di formazione professionale, salvo un piccolo corso base su come utilizzare una macchina fotografica. Alcuni anni fa, il mio fidanzato – attuale marito! – mi regalò una Reflex con cui cominciai a fotografare il gatto che avevo adottato. Tutto quello che ho imparato è stato da autodidatta, con tanta pratica, scattando in continuazione. Non sono molto brava con le parole, sono sempre stata timida, però mi piaceva l’idea di raccontare belle storie con le immagini, continuando ad avere i gatti come soggetti d’elezione.

Come si sono sviluppati i progetti che ti hanno portato ad essere una catographer?

Il primo passo è stato fotografare persone e gatti mentre erano intenti in qualche attività insieme; questo primo progetto l’ho chiamato Passions.

Il secondo progetto - più organizzato e ancora in corso – si chiama C-AT-work e ritrae gatti negli ambienti di lavoro, come cantieri navali, officine, uffici e negozi. Sono gatti a proprio agio, nell’ambiente di loro proprietà. Ho già collezionato trenta storie e ho conosciuto persone meravigliose.

Poi è arrivato Cats in Venice che mi ha portato a scoprire le storie dei gatti veneziani.

Il progetto Cats in Venice è diventato una mostra e poi un libro fortunato: come si è sviluppato?

Venezia è notoriamente una città a misura di gatto, dove i felini sono amati e rispettati. Ci sono diverse colonie di randagi ma ormai i gatti sono prevalentemente di proprietà o semi-domestici e ben nutriti. Ho fatto un’indagine - chiedendo aiuto ai gruppi locali di appassionati - e dal 2015 ho cominciato a recarmi a Venezia per scovare le storie e i soggetti da fotografare. Il “gattaro veneziano” è un umano socievole, molto disponibile a condividere informazioni; nelle segnalazioni mi dicevano persino nomi e caratteristiche dei gatti che conoscevano. Molti si lamentano che ce ne sono sempre meno perché conoscono il valore dei gatti nella storia di Venezia. La difficoltà di Cats in Venice è stata proprio lavorare in base alle segnalazioni: partivo all’alba da Vicenza, spesso solo con un’idea vaga di dove cercare. Un conto è lavorare su gatti sedentari e un conto è trovare i segnalati! Tuttavia, Venezia crea una sorta di dipendenza: ho trovato una dimensione mia per rilassarmi e camminare in cerca di storie, immersa in un paesaggio sempre magico. Oltre alla mostra, nel 2018 Cats in Venice è diventato un libro pubblicato da El Squero, Casa Editrice specializzata in argomenti veneziani.

Ti vedresti come una catographer professionista?

Avrei già la possibilità di farlo ma sono ancora titubante. Questi progetti sono stati – e sono ancora – una fonte di piacere personale e di relax, una mia fuga dalla quotidianità. Però non so se voglio che diventi un'imposizione. In questo momento gestisco io il mio modo di affrontare il lavoro ma potrebbe diventare complicato. Realizzo servizi su richiesta ma rimane ben inteso che il gatto deve essere d’accordo oppure – hai presente l’imprevedibilità dei gatti? – non se ne fa nulla. Tra l’altro, io voglio raccontare un rapporto: deve essere ben visibile il coinvolgimento e la relazione.
Posso anche arrivare con l’attrezzatura e le luci necessarie ma non a tutti i gatti questo sta bene! Hanno un modo molto chiaro di comunicarti la loro contrarietà.

Quali sono i progetti che hai intenzione di realizzare nel prossimo futuro?

Ho materiale sufficiente per un nuovo libro a tema veneziano e non è esclusa la sua realizzazione, dal momento che Cats in Venice è stato tradotto in inglese e ha avuto un grande successo anche con i turisti stranieri.
Tra i progetti nuovi ci sono i Sindagatti: cerco e fotografo i gatti simbolo di un luogo. Sono gatti che si sono imposti e fatti accettare da una comunità. È un progetto complesso e dai tempi lunghi, perché non sono molti. Ho già girato San Giovanni in Persiceto, Rovigo, Oderzo, Bologna (dove vive una specie di gatta monaca).
Poi c’è Cats and Kids, in cui ritraggo il rapporto complesso tra bambini e felini. Si costruisce nel tempo, con piccole tappe nella fiducia reciproca ed è molto interessante perché il tema ricorrente è che con i gatti non sempre tutto dovuto. Anch’io sto imparando ad essere sempre più selettiva.

Come sono nate le foto di matrimonio con gatto?

Come sempre, desidero cogliere gli attimi di connessione tra proprietario e gatto. Ho cominciato da me stessa, con Arthur. Il mio matrimonio è stato molto intimo e le foto le ho volute impostare tutte io con l’autoscatto. Il giorno precedente la cerimonia, mi sono vestita di tutto punto e mi sono fotografata con lui. Poi una coppia di amici mi ha chiesto un servizio fotografico post matrimonio con i loro 3 gatti: con il passaparola, poco per volta, sto ricevendo sempre più richieste.

La tua presenza sui social è stata rilevante nello sviluppo della tua attività di catographer?

È stato fondamentale. Cats in Venice è stato possibile grazie a Facebook, sia per trovare le informazioni che mi servivano sui gatti che vivevano in città, sia per la diffusione del progetto, una volta realizzato. Ricevo quotidianamente messaggi di apprezzamento che non credevo possibili e addirittura la richiesta di un professionista di aiutarlo a fotografare gatti, cosa che non sono certa si possa imparare.

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