DONNE E LAVORO

Lina Farage, cioccolato design ed etica del lavoro

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C’era una volta una ragazza brasiliana, arrivata in Italia per studiare design. Poi la vita e le esperienze in campo ristorativo. Oggi, Lina Farage possiede una sala da tè nel cuore di Brera, a Milano, e sta diventando rapidamente celebre per la capacità segreta di mescolare bontà e bellezza. Scopri nell’articolo la ricetta del suo successo.

Farage Cioccolato è una bomboniera accogliente, con divanetti confortevoli e alcuni angoli più appartati, un bel bancone dove prendere un cappuccino di corsa e una saletta inferiore dove pranzare in mezzo alle orchidee e a colori armoniosi che richiamano la terra d’origine della proprietaria.

I milanesi si sono accorti in fretta d’avere  a disposizione un luogo speciale dove prendersi una pausa: Nel giro di pochissimo tempo, il locale di Lina Farage è stato citato ovunque per essere uno dei posti migliori della città dove bere una tazza di cioccolata. Poi il successo si è esteso e oggi Farage Cioccolato può vantare anche un corner nella prestigiosa area food all’ultimo piano della Rinascente di Milano. In esposizione, le originalissime confezioni di dolci e confetteria selezionate e disegnate personalmente da Lina.

Ma procediamo con ordine. Com’è nato Farage Cioccolato? Nulla arriva per caso o all’improvviso…

Prima che il mio sogno di aprire Farage Cioccolato si realizzasse, è passata letteralmente una vita con tutte le esperienze che la contraddistinguono. Dopo aver frequentato la facoltà di Industrial Design a Rio de Janeiro per 2 anni, sono venuta a Milano per studiare design della moda all’Istituto Marangoni. Ho disegnato collezioni e accessori fino a quando mi sono innamorata del padre dei miei tre figli. Lui era un noto imprenditore milanese nel mondo della panificazione e della pasticceria: il secondo colpo di fulmine è stato per il suo mestiere. Ho abbandonato l'attività di stilista e mi sono lanciata a capofitto nel lavoro in quelli che erano diventati i nostri negozi.

È stata un’illuminazione? Il settore “food” era ancora ben lontano dall’essere di moda.

Una vera folgorazione che non ho più scordato. Ricordo distintamente d'aver confidato a una collega designer che, secondo me, in pasticceria c’era un mondo meraviglioso da scoprire e la possibilità di realizzarsi senza essere numeri (come eravamo noi negli uffici stile). Lei mi prese per pazza: la moda aveva ancora un appeal insuperabile.

Come ha contribuito la tua precedente formazione professionale alla realizzazione del tuo progetto?

La mia passione per il disegno è riaffiorata e si è fusa con le esperienze della vita. Dopo vent’anni di matrimonio mi sono separata, ho abbandonato l’azienda di mio marito e ho cominciato a occuparmi di design industriale specifico per la pasticceria. Poi nel 2013 ho aperto il mio primo piccolo negozio di scatole e confetteria ma non avevo il permesso di somministrazione e lavoravo prevalentemente durante le feste. Stavo saggiando il terreno mentre cercavo il posto giusto. Cercavo un locale luminoso e accogliente, dove il cliente si sentisse appagato dalla bontà e dalla bellezza. Così sono arrivata finalmente in via Brera con Farage Cioccolato.

Su cosa hai puntato per ottenere il risultato che cercavi?

Il punto di forza è sempre l’idea: è molto difficile stare sul mercato e fare la differenza. Nel mio caso, il locale è l’involucro ideale per presentare i miei prodotti, le scatole, la cioccolata con le mie confezioni, tutto disegnato da me. La caffetteria e la possibilità di sedersi a mangiare qualcosa a qualsiasi ora - dalle 10 alle 18 la cucina è sempre aperta - sono il modo ideale per mostrare ai clienti le mie creazioni e il mio stile.

Le vetrine di Farage Cioccolato sono una continua sorpresa: quanto dicono di te?

Io vivo per le vetrine! Sono la mia voce, il lato esibizionista e divertente, il posto dove la fantasia può urlare che “Farage c’è”. Mi sbizzarrisco, non ho limiti. Le vetrine delle pasticcerie sono sempre state molto tradizionali ma Milano è anche la città dove le vetrine della moda e dei grandi marchi internazionali stanno rendendo tutto più interessante e creativo.

Il segreto di un posto è sempre il cuore e l’anima di chi ci lavora: quali sono le tue regole auree per la buona gestione del locale?

Il mio mantra è l’etica professionale. Da parte mia fingo che i miei figli debbano venire a mangiare da me, in modo che i miei clienti siano trattati con la stessa attenzione. Poi c’è il rispetto: il mio nei confronti di chi lavora per me e quello che pretendo da loro. I miei ragazzi sono famosi per il sorriso: io non cerco fenomeni, chiedo solo che siano educati e gentili. Li scelgo a pelle: devono essere di buona indole e consapevoli che siamo qui per servire.

Infine, sei arrivata alla Rinascente, la mecca dei buongustai alla ricerca di qualcosa di bello e buono da acquistare. È un punto d’arrivo?

Essere cercata dal buyer di un’azienda così prestigiosa è stata una grande emozione. Pochi mesi fa abbiamo aperto un corner temporaneo per fare un test ma è andato così bene che è diventato un punto fisso; ora se ne occupa in pianta stabile una mia dipendente. Ma non mi fermo: ogni passo è uno stimolo a creare qualcosa di nuovo che attiri e seduca i clienti, perché l’occhio è tiranno e non si accontenta.

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