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Ciao Amore, vado a combattere: la vita straordinaria di Chantal Ughi, dal palcoscenico al ring.

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Chantal Ughi, dopo una delusione d'amore, trova nella Thai Boxe il modo per sfogare la sua rabbia. Si trasferisce in Thailandia e diventa campionessa del mondo di Muay Thai ma continua a lottare coi fantasmi del suo passato. La sua storia nel documentario di Simone Manetti “Ciao amore, vado a combattere” in concorso alla 62° edizione dei David di Donatello.

“Ciao amore, vado a combattere” (Goodbye darling, I’m off to fight) è il documentario sulla vita di una giovane donna coraggiosa. Chantal Ughi ha studiato recitazione e videomaking, ha vissuto a New York frequentando gli ambienti della musica underground, fino a quando la necessità di liberarsi di un amore distruttivo la spinge a rimettere in discussione la propria vita. Si trasferisce in Thailandia e in pochissimo tempo diventa abbastanza brava per combattere professionalmente e per ottenere il titolo di campionessa del mondo di Muay Thai. La sua storia è stata raccolta dal regista Simone Manetti che ha creato un piccolo biopic coinvolgente, entrato in concorso alla 62° edizione dei David di Donatello e nella cinquina finalista come Miglior Documentario del Cinema del Reale dei Nastri d'Argento 2017.

“Ciao amore, vado a combattere” è il documentario sportivo da vedere, per scoprire le emozioni estreme che portano sul ring ma anche per conoscere una donna sensibile e forte.

Modella, attrice, combattente, poi di nuovo attrice: sei una donna dai mille talenti. Essere dotata in campi così diversi tra loro, pensi abbia rappresentato un problema? È stato difficile trovare la tua strada?

In parte sì, perché il mondo di oggi sembra premiare la specializzazione. D’altro canto, il saper fare multitasking mi ha aiutato. Sia nel lavoro d’attrice o di modella sia in quello di lottatrice, bisogna saper gestire il corpo in scena: nel primo caso è un palcoscenico, nel secondo è un ring.

Com’è nato il film con Simone Manetti? Goodbye Darling, I’m off to fight è un documentario che copre un certo numero di anni, anche se apparentemente racconta dell’ultimo sforzo per riconquistare il titolo mondiale: com’è stato possibile realizzarlo?

Ho conosciuto Manetti per caso - nel 2014 - e si è interessato alla mia storia. Avevamo a disposizione materiale d’archivio di un regista americano che non l’aveva mai utilizzato. Inoltre, io stessa ho sempre fatto riprese per il mio archivio personale, per documentare la mia vita in Thailandia e i combattimenti.

Quando sei partita per la Thailandia, la prima volta, praticavi già Muay Thai? Cosa ti aveva spinto verso questo sport?

Ho cominciato attorno ai 21 anni, sentivo il bisogno di avvicinarmi ad un’arte marziale. La boxe thailandese mi piaceva a livello estetico, andava bene per tenermi in forma ma soprattutto mi serviva per liberare la mente. Gli allenamenti e la disciplina erano molto pesanti e dolorosi ed era quello che mi serviva in quel momento della mia vita. Quando ho deciso di lasciare New York per allontanarmi dal rapporto malato che si stava instaurando con il mio fidanzato, la Thailandia mi sembrava una buona meta di viaggio.

È uno sport che consiglieresti alle ragazze come te?

Consiglierei di praticarlo fin da bambine. Aiuta ad avere fiducia in se stesse, è una valida autodifesa ed è perfetto per perdere peso se è necessario. Bisogna avere disciplina ma non toglie la femminilità anche se il corpo si rafforza molto. Le ragazze sono particolarmente brave ed eleganti, perché è uno sport che premia l’elasticità, la flessibilità e la velocità.

Cosa ti deve scattare dentro per andare a combattere?

Per me è stata una sfida con me stessa e una catarsi per superare i miei fantasmi, derivati anche da un rapporto difficile con mio padre. Volevo vedere se riuscivo a combattere. Poi c’è la parte mistica legata al buddismo che è presente in Thailandia ma che è difficilmente compresa dagli occidentali. La Muay Thai prevede una pratica giornaliera ferrea, meditazione e una vita semplice. Un incontro è composto anche di rituali, come la danza propiziatoria sul ring, che addirittura non viene eseguita da molti europei.

Com’è il mondo della Muay Thai femminile? Le donne sono rispettate o le combattenti sono considerate di serie B come accade in altri sport?

Fino a una decina d’anni fa, le donne non potevano combattere e tuttora il combattimento femminile è vietato nello stadio principale di Bangkok . Prima di ogni combattimento, il ring viene benedetto dai monaci e teoricamente le donne portano sfortuna, tant’è che non possono scavalcare le corde ma devono scivolare sotto di esse.

Oggi è un bellissimo spettacolo, a volte esasperato nel suo lato estetico come nel caso dei reality show delle Muay Thai Angels, che devono essere non solo brave ma anche molto carine e sempre truccate.

Spesso gli stranieri che vengono ad allenarsi stanno cercando qualcosa. Ora sta arrivando anche una buona percentuale di ragazze e gli incontri sono sempre più apprezzati. Io ho potuto combattere anche davanti alla al re a e alla regina in occasione delle celebrazioni per i loro compleanni.

Dopo quattro titoli mondiali, hai deciso di ritirarti. Poi, a distanza di un anno, sei tornata per tentare di riconquistare la cintura di campionessa del mondo. Cosa ti ha spinto a ricominciare?

Mi ero fatta male e avevo bisogno di tempo per guarire ma ero anche stanca. Combattere stava diventando un po’ un lavoro mentre io non volevo essere obbligata. Avevo bisogno di ritrovare la passione.

Nel film si parla anche del rapporto burrascoso con la tua famiglia: è stato difficile coinvolgere i tuoi genitori ed affrontare i fantasmi del passato?

Confrontarci è stato catartico ed è servito in qualche modo a riavvicinarci. Simone Manetti ha portato avanti le interviste separatamente e nessuno di noi sapeva cosa avrebbe detto l’altro. I problemi erano rimasti chiusi in un armadio per molto tempo e con il documentario, in qualche modo, per me si è chiuso il cerchio.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Per il momento sono stata invitata a insegnare ai bambini in Qatar. Un giorno vorrei aprire una palestra mia, dove collezionare le mie coppe e le cinture e dove insegnare la boxe thailandese alle donne.

 

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