PSICOLOGIA

Il malessere ha molto da dirci

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A volte il disagio cresce dentro di noi a poco a poco, quasi in sordina.

Allora, per sedare l'ansia, cominciamo a prendere dei provvedimenti: ad esempio, evitiamo luoghi troppo ampi che ci danno un forte senso di spaesamento; ci laviamo le mani con sempre maggiore frequenza per timore del contagio; oppure ci isoliamo perché siamo preoccupati dal giudizio della gente. In pratica, cominciamo a modellare i nostri comportamenti intorno al nostro malessere per cercare di tenerlo sotto controllo. Ma più il malessere aumenta, più aumentano anche questi comportamenti che ci rendono schiavi. Altre volte invece è un trauma improvviso a sconvolgere la nostra vita, come la morte di una persona cara o il tradimento del coniuge; ma anche eventi apparentemente non tragici, come l'entrata in pensione, possono rompere il nostro equilibrio psichico. Più difficile è capire perché una persona possa entrare in crisi quando le accade qualcosa di positivo, ad esempio si sposa la figlia oppure riceve una promozione sul lavoro. Eppure succede anche questo.

IL LINGUAGGIO DEL SINTOMO
Cos'è un sintomo? Lo si avverte spesso come una sorta di "corpo estraneo" che è in noi ma che non riconosciamo come una parte di noi. Nella fobia, il sintomo prende la forma di una paura irrazionale, magari per animali innocui, luoghi aperti o chiusi, oggetti di uso comune. L'ossessivo ha invece la necessità assoluta di compiere regolarmente una serie di rituali, ad esempio, aprire e chiudere dieci volte i rubinetti prima di andare a dormire. Altre volte, a disturbare sono dei pensieri ricorrenti apparentemente senza senso, che però continuano a fare capolino nella testa. Perché tutto questo? Non si sa. Sembra esserci qualcosa di irrazionale nel sintomo.
Anche un attacco di panico scatta improvvisamente, senza che ci sia un reale pericolo esterno a giustificarlo. La bulimica è preda di incontrollabili raptus, abbuffate che non le danno alcun piacere e la lasciano prostrata, mentre il depresso chiede di essere liberato dalla fatica, dal vuoto e dall'infinito senso di disperazione che lo attanaglia senza alcun motivo. A volte è difficile considerare queste manifestazioni così disturbanti e angosciose come qualcosa che abbia a che fare con noi. Preferiamo piuttosto pensarle come estranee al nostro "io", errori da eliminare, virus da debellare. Vogliamo tornare a essere quelli che eravamo prima della malattia, oppure ci illudiamo che, tolto il sintomo, potremo finalmente diventare quelli che desideriamo essere.
Questa concezione è molto diffusa oggi, anche perché la medicina ci ha abituato all'idea di cura come eliminazione farmacologica o chirurgica del male, come soppressione del sintomo: basta asportare un pezzo di stomaco per guarire dall'ulcera, basta prendere una pillola per far sparire il mal di testa. Eliminando il sintomo, si pensa di poter ripristinare lo stato di salute.

ASCOLTARE IL SINTOMO PER ASCOLTARSI
Ma poniamoci invece da un altro punto di vista: e se facessero parte di noi anche quelle parti rifiutate, anomale, abnormi e apparentemente senza senso? Se cioè il senso fosse presente benché non riconosciuto o, meglio, misconosciuto? In questa ottica più che parti da eliminare i sintomi sono parti da comprendere. Forse sono lì perché vogliono dirci qualcosa. Forse il nostro star male nasce dal fatto che ci siamo costruiti la nostra personalità in base a un'immagine di noi stessi che ci siamo volutamente scelti e anche imposti, oppure che altri, ad esempio i genitori, hanno scelto per noi quando eravamo piccoli. Così facendo abbiamo trascurato però desideri e necessità interiori, abbiamo soffocato istinti magari avvertiti come inappropriati, creando un conflitto tra noi e la nostra coscienza morale. Forse ancora non siamo riusciti ad adattarci alla realtà, e se nel lavoro abbiamo successo, magari negli affetti siamo un vero disastro.
Il risultato è che queste difficoltà e questi blocchi si manifestano come sofferenza. La nostra psiche è un mondo vasto, variegato, di cui il nostro "io", cioè la nostra parte conscia, rappresenta solo un aspetto. Non a caso Freud coniò il termine di "inconscio" per denominare quel ben più vasto territorio che funziona in modo ben diverso. Ce ne accorgiamo nelle fantasticherie, nelle fantasie o nei sogni, che certamente non seguono logica, buon senso o plausibilità. Bisogna dunque imparare a mettere un po' tra parentesi le nostre facoltà razionali e la presunzione di sapere chi siamo per aprirci alla possibilità di scoprire di noi aspetti inattesi.
Il malessere può essere una spia che ci siamo allontanati dal nostro nucleo interno che così reclama i suoi diritti, o che abbiamo privilegiato solo un aspetto di noi, quello in cui abbiamo voluto riconoscerci. Ogni malattia, ogni disagio, sono un modo in cui il nostro corpo o il nostro inconscio cercano di mettersi in contatto con noi e portarci a nuovi livelli di equilibrio interiore. Oggi, che si fa tutto di fretta, vorremmo anche guarire in fretta, magari con un farmaco. Invece per cominciare a dare significato al nostro malessere, dobbiamo dedicare più attenzione a quello che si svolge dentro di noi.

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